Dialoghi e silenzi
di Viviana Tessitore
Per Antonio Barbagallo esiste un solo modo per entrare a fondo nella realtà: affidarsi, attraverso un pensiero coraggioso e necessario, ad una profonda ricerca che sia capace di trapassare, e di opporsi, alla pura, semplice e superficiale sensazione visiva. Da sempre, e a conferma di questo, l'artista ha conferito potenza e valore all'atto del guardare; ha lavorato sulla realtà, ha agito sullo spazio macroscopico dell'ambiente naturale, si è concentrato sui campi visivi e ha fatto sì che l'osservatore si soffermasse su ogni più minuto particolare. Ha costruito superfici, scabre, stratificate, ruvide e accidentate, ha manipolato la materia e si è infiltrato nella sua più profonda consistenza fisica. Con il lavoro Dialoghi e Silenzi , quella stessa materia, quelle superfici, ora di ferro ora di bronzo, sono andate ad "abitare" luoghi, spazi antichi e immobili generando uno stretto rapporto tra due mondi; è nato un percorso svolto e strutturato in un senso tutto umano, è un viaggio ideale, dove in ogni tappa si compie l' incontro tra due situazioni: le opere-pensiero di Barbagallo che si accoppiano e si uniscono indissolubilmente a territori remoti e immobili. L'artista ripercorre tracciati, individua segni antichi e crea nuove forme di contatto; ogni luogo diventa un tramite per recuperare pensieri e suggestioni visive. Si avvale di segni e di caratteri, quasi sempre sono alfabeti fonetici o ideografici, come spiega l'artista stesso; riporta e incide scritture cuneiformi tributate dai popoli dell'Asia occidentale, adotta "scritture segrete" dei popoli nordici e pittogrammi egizi. E' un sapiente modo di intervenire, di disporre e di costruire. Le sue lastre-sculture reggono l'urto con lo spazio che abitano, turbano, senza violenza, e condizionano i più diversi scenari: alterano la morfologia dei deserti, si pietrificano e si mineralizzano, abitano gli strati rocciosi ed emergono dalle profondità delle acque. Sono inaspettati paesaggi dove tutto si integra e si equilibra in una perfetta commistione tra presente e radici lontanissime.
Da "Titolo", anno XIV, n° 41, anno 2003